Lavoro sotto pagato e differenze retributive

07/04/2022

Il lavoro “sotto pagato” è un fenomeno diffuso che si può presentare sotto molteplici forme e modalità, dal "lavoro nero" al "lavoro parzialmente regolarizzato", ma sempre con il medesimo risultato: il lavoratore non viene correttamente retribuito per le ore di lavoro che effettivamente svolge, maturando conseguentemente importanti differenze retributive a suo favore. Vediamo come ottenerle in giudizio e quali prove deve fornire il lavoratore.

Lavoro nero e lavoro parzialmente regolarizzato

Tale piaga sociale è particolarmente evidente nei casi di “lavoro nero”, allorquando il rapporto di lavoro non viene in alcun modo regolarizzato, con paghe orarie sovente ben al di sotto dei minimi fissati dai contratti collettivi e con l’assenza del riconoscimento di ogni altro istituto retributivo (mensilità supplementari, ferie, permessi ecc.).

Tuttavia, al di là del lavoro totalmente irregolare, il fenomeno dello sfruttamento emerge sempre più spesso quando abbiamo “parziali” regolarizzazioni: tipico il caso in cui, a fronte di una formale regolarizzazione con un contratto a tempo parziale al 50%, il lavoratore nella realtà svolge un orario a tempo pieno.

In queste situazioni non solo il lavoratore si trova a ricevere un importo decisamente inferiore a quanto gli spetterebbe per le ore lavorate, ma le differenze si riverberano anche su tutti gli altri istituti retributivi indiretti e differiti.

Infatti il datore di lavoro, con ogni probabilità, calcolerà le mensilità supplementari, le ferie, i permessi ed il TFR sulla base del contratto simulato e non dell’articolazione oraria reale.

In tutte queste situazioni di lavoro "sotto pagato" il lavoratore può ottenere le dovute differenze retributive rivolgendosi al Tribunale del Lavoro competente ed incardinando una causa in cui, illustrando dettagliatamente come si è svolto il rapporto di lavoro, chiede la condanna del datore di lavoro al pagamento di quanto avrebbe dovuto percepire per il lavoro svolto.

L’onere della prova

Usualmente la richiesta delle differenze retributive viene promossa alla cessazione del rapporto, per cui si pone l’arduo problema della prova da fornire in causa, infatti – per quanto attiene l’articolazione oraria – spetta al lavoratore l’onere di provare i fatti costitutivi della domanda.

Si applica infatti l’art. 2697 del codice civile che dispone: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento” per cui, ad esempio, non sarà assolutamente sufficiente sostenere di aver lavorato per 10 ore al giorno per sei giorni la settimana per l’intero rapporto di lavoro, ma bisognerà dimostrarlo, dandone prova positiva.

La giurisprudenza, formatasi soprattutto in relazione a richieste di pagamento di lavoro straordinario (ma il principio è analogo per il lavoro non regolarizzato o quello supplementare), è pacifica: in merito all’orario di lavoro e al compenso relativo al preteso svolgimento di lavoro straordinario, grava in capo al lavoratore un onere probatorio rigoroso che consiste nel riuscire a provare la quantità di ore effettivamente lavorate oppure la loro esatta collocazione cronologica nello svolgimento del rapporto di lavoro.

La prova per eccellenza: la testimonianza

In tutti questi casi la prova per eccellenza è quella per testimoni che dovranno confermare quanto indicato dal lavoratore e pertanto, per quanto qui di interesse, quale fosse l’orario usualmente ed effettivamente svolto dal lavoratore.

La ricerca e la scelta dei testimoni è sempre un compito delicato perché dalla loro deposizione dipenderà per gran parte l’esito della causa.

In primo luogo, laddove possibile, i testimoni maggiormente in grado di riportare analiticamente gli orari di lavoro effettivamente svolti e le modalità del rapporto sono, ovviamente, gli ex colleghi di lavoro, ma, come noto, se ancora in servizio, possono rivelarsi molto timorosi nel deporre.

Purtuttavia abbiamo anche situazioni in cui non sono presenti o non si può contare su colleghi di lavoro, pensiamo ad esempio al classico caso della collaboratrice domestica oppure della commessa di piccolo negozio gestito dal solo titolare o ancora del bracciante agricolo che lavora da solo.

In tutti i casi ove non si può contare su testimonianze di colleghi che possano confermare, perché sempre presenti, si devono ricercare i testimoni nelle persone che frequentavano i luoghi di lavoro, quali ad esempio:

- nel caso di collaboratrice domestica i vicini di casa, il medico ed il personale di assistenza che, per ragioni di servizio, frequentavano la casa, ma anche eventuali amiche della lavoratrice che andavano a trovarla, utili anche risultano i titolari di attività commerciali in cui ci si recava per fare la spesa o si accompagnava la persona di cui ci si prendeva cura;

- nel caso di addetto alla vendita / barista testimoni utili possono essere certamente i clienti abituali (pensiamo al caso del bar nel quale il cliente abituale regolarmente prendeva il caffè alle 8, per poi fermarsi in pausa pranzo alle 13,00 e ritornare alle 18 per l’aperitivo e, in tutte le occasioni vedeva sempre il medesimo lavoratore) che, se numerosi, possono nell’insieme dare una visione ben precisa di come si è sviluppato il rapporto di lavoro, ma anche gli amici del lavoratore che, eventualmente, attendevano davanti al negozio alla chiusura;

- sempre quali testimoni possono risultare importanti gli eventuali parenti, compagni/e, fidanzati/e che, magari portavano a lavoro il lavoratore e lo riportavano a casa a fine turno, così da dare la prova di un inizio e di una fine del turno, anche se si dovrà diversamente dimostrare la prestazione lavorativa effettiva nell’intervallo tra l’inizio e a fine;

Differenze retributive: gli altri mezzi di prova

Oltre alla prova testimoniale, si può far ricorso anche ad altri mezzi di prova, in primo luogo le prove documentali che, se provenienti dal datore di lavoro e non contestate, assumono il valore di confessione.

Si pensi ai tabulati dei turni di lavoro in una struttura socio-assistenziale, ma anche ai rapportini elaborati usualmente nell’edilizia e nei casi di manutenzione/installazione impianti.

Recentemente poi hanno assunto a rango di prova anche le conversazioni (chat) presenti nei programmi di messaggistica istantanea quali Whatsapp o Telegram, in tal caso sarà necessario produrre in giudizio gli screenshot delle conversazioni dai quali si possa identificare, senza dubbio, i partecipanti e le loro utenze telefoniche, dando comunque la disponibilità, in caso di contestazione dell’autenticità delle conversazioni, della produzione direttamente del dispositivo telefonico ove è installato il programma di messaggistica con la chat.

Per quanto attiene poi gli audio ed i video, essi, a determinate condizioni, sono pacificamente ammissibili ed utilizzabili nel processo del lavoro.

Condividi queste informazioni

Newsletter

Inserisci la tua miglior email per restare informato sulle novità del diritto del lavoro.
logo-bianco

SEO & design:

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram