Secondo il Tribunale di Trento è legittimo il licenziamento di un lavoratore che si rifiuti di indossare la mascherina sul luogo di lavoro.
Il caso sottoposto al vaglio del Tribunale riguardava una dipendente della Provincia Autonoma di Trento con mansioni di insegnante delle scuole dell’infanzia che, alla ripresa dell’anno scolastico, non indossava la mascherina ed anzi si rifiutava di indossarla, nonostante le prescrizioni delle Linee Guida e di successivo espresso ordine di servizio, per cui l’Ente irrogava il licenziamento per giusta causa.
La lavoratrice impugnava il recesso ritenendolo illegittimo poiché, a dire di asseriti studi medici, l’indossare la mascherina avrebbe nuociuto alla sua salute in quanto già sofferente di preesistenti difficoltà respiratorie.
Il Tribunale osservava anzitutto che agli atti non esisteva alcuna certificazione medica in cui si attesterebbe l’impossibilità dell’uso della mascherina per motivi di salute ed anzi il medico competente aziendale avrebbe raccomandato alla lavoratrice l’uso della mascherina FFp2, per poi passare ad osservare che era la stessa lavoratrice, in sede di procedimento disciplinare, ad aver affermato che la decisione di non indossare la mascherina era una sorta di obiezione civile.
Poiché l’art. 16 comma 1 del D.L. 18/2020 qualifica la mascherina come dispositivo di protezione individuale (DPI), il Tribunale, nel vagliare la gravità della condotta della lavoratrice, sotto il profilo oggettivo richiama l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui il persistente rifiuto da parte del lavoratore di utilizzare i dispositivi di protezione individuale giustifica il licenziamento.
Dall’altra, sotto il profilo soggettivo, il Giudice censura la condotta della lavoratrice che avrebbe anteposto all’interesse generale (oltre che a quelli di utenti e colleghi) proprie convinzioni personali che non troverebbero “fondamento in conoscenze riconosciute dalla comunità scientifica perché sottoposte a severe verifiche”.