Le assenze per quarantena e isolamento possono portare al licenziamento?
Un tema spinoso, quarantena e assenze dal lavoro. Sono da computarsi per il superamento del periodo di comporto?
Se un lavoratore supera il termine massimo di conservazione del posto di lavoro a causa delle assenze per la quarantena o l’isolamento fiduciario previsti dalle norme tese alla prevenzione ed al contenimento della diffusione del virus Covid-19 può perdere il lavoro?
Il Codice Civile all’art. 2110 dispone che il lavoratore che si assenta per malattia ha diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro, purché l’assenza non superi il periodo stabilito dai contratti collettivi (c.d. “periodo di comporto”) in quanto – se lo stato morboso si prolunga oltre tale termine – il datore di lavoro può legittimamente procedere al licenziamento.
Il legislatore, con l’art. 26 comma 1 del D.L. 18/2020 (il c.d. “Decreto Cura Italia”), modificato più volte nel corso di questi due anni, aveva previsto che il periodo di quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva era equiparabile a malattia per quanto attiene il pagamento dell’indennità da parte dell’INPS, ma non computabile ai fini del superamento del periodo di comporto.
La norma tuttavia non risultava del tutto chiara perché richiamava solo alcuni dei casi di quarantena o l’isolamento fiduciario, quali l’aver avuto contatti stretti con un positivo, l’essere rientrati da paesi in cui era fortemente diffuso il virus oppure per ordine del sindaco, non prevedendo espressamente, per esempio, il caso di quarantena o isolamento disposto dal SISP.
Nulla poi veniva espressamente previsto circa la computabilità per il superamento del comporto per i giorni di effettiva “malattia” in cui il lavoratore positivo, ma asintomatico, era obbligato a non allontanarsi da casa
Proprio per questi dubbi interpretativi, una lavoratrice del settore del commercio (il cui CCNL stabilisce un periodo massimo di conservazione del posto fino a 180 giorni di assenza per malattia, anche frazionati, nell’anno solare) era stata licenziata per aver superato il termine massimo, in particolare le veniva contestata un’assenza complessiva di 184 giorni.
La lavoratrice ricorreva in Tribunale eccependo che in realtà il periodo massimo di comporto non era stato superato perché ella aveva contratto il Covid-19 e dal totale del periodo di malattia dovevano essere sottratti sia i giorni in cui ella era stata posta in quarantena dal SISP (3 giorni) che anche tutto il periodo in cui ella, risultata positiva, era stata posta sempre dal SISP in isolamento fiduciario.
Il Tribunale ha accolto il ricorso ritenendo che l’esclusione dal computo previsto dall’art. 26, co. 1, del D.L. 18/2020 (applicabile ratione temporis al caso) riguardi non solo i soggetti che hanno avuto contatto con casi confermati di contagio, ma anche i soggetti risultati positivi al virus, in quanto impossibilitati per legge a rendere la prestazione a prescindere dalla comparsa di sintomi legati alla patologia, dichiarando così illegittimo il licenziamento ed ordinando la reintegra della lavoratrice.
In particolare così ha motivato il Tribunale di Asti: “Del resto, la ratio della norma è quella di non far ricadere sul lavoratore le conseguenze dell’assenza dal lavoro che sia riconducibile causalmente alle misure di prevenzione e di contenimento previste dal legislatore e assunte con provvedimento delle autorità al fine di limitare la diffusione del virus Covid-19, in tutte le ipotesi di possibile o acclarato contagio dal virus e a prescindere dallo stato di malattia, che – come ormai noto – può coesistere o meno con il contagio (caso dei positivi asintomatici).".
Aggiungendo inoltre che: "anche in caso di contagio con malattia, ciò che contraddistingue la malattia da Covid-19 dalle altre malattie è l’impossibilità, imposta autoritativamente, per il lavoratore di rendere la prestazione lavorativa e per il datore di lavoro di riceverla per i tempi normativamente e amministrativamente previsti, tempi che – ancora una volta – prescindono dall’evoluzione della malattia, ma dipendono dalla mera positività o meno del virus”.
Si tratta di una delle prime pronunce sul punto, fortemente innovativa laddove considera non computabili le assenze per positività al virus.
Dobbiamo ricordare tuttavia che il c.d. Decreto Fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2022, ha modificato il già citato art. 26 comma 1, disponendo che dal 1° gennaio 2022 il periodo di quarantena non è più equiparato alla malattia e quindi non indennizzato dall’INPS.
Per quanto di nostro interesse, tuttavia, proprio a seguito di tali modifiche, il periodo di positività Covid-19 non potrebbe che essere computato come malattia e quindi utile per il superamento del comporto, creando non poche ingiustizie.
La mera quarantena in isolamento domiciliare, invece, oltre a non essere più indennizzata, non sarà sicuramente considerata malattia, ma trattata come una sorta di “assenza giustificata”, creando non pochi problemi di gestione.
La Stampa "Ed. Asti" del 9/2/2022
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